MENU ENGINEERING: che cos’è e come il ristoratore può utilizzarlo per vendere meglio

Lunedì 4 Novembre 2019

Ilmenu non rappresenta soltanto l’elenco dei prodotti e i relativi prezzi, ma è ilprimo componente dell’intera strategia del ristorante e, in quanto tale, merita che alla sua pianificazione e alla sua programmazione siano dedicate molte cure e attenzioni. Chi ha detto, per esempio, che i piatti debbano essere proposti nell’ordine cronologico standard antipasti, primi, secondi ecc.? La realizzazione di un menu non è cosa semplice, poiché richiede conoscenza, tempo, competenza e coinvolgimento da parte di tutti i componenti dello staff e deve tenere conto di tanti fattori: le finalità economiche dell’impresa, le modalità di servizio, le modalità di produzione, gli spazi, le aspettative della clientela, le offerte del ristorante, la comunicazione. Ognuno di questi aspetti deve essere tenuto in considerazione e bilanciato attentamente in fase di stesura del menu, affinché questo diventi uno strumento non solo di presentazione, ma anche redditizio. Esistono quindi delle modalità realmente efficaci per realizzare un menu? La risposta è sì e si chiama menu engineering, una disciplina nata negli USA nel 1980, che studia le strategie più efficaci per massimizzare i profitti di un ristorante utilizzando come unico strumento il menù. Vediamo brevemente i tre metodi di menu engineering più diffusi e utilizzati.

Il metodo di Miller

Uno dei primi metodi formulati per il controllo e la valutazione delle proposte gastronomiche presenti nel menu è il metodo ideato da Miller nel 1980, che prende come riferimento il food cost percentuale e la popolarità (volume di vendita) dei prodotti presenti in menu, collocando i piatti dei relativi valori delle due variabili considerate. Su questa base, i piatti vengono classificati in:

  • Winner - piatti con un basso food cost percentuale e un’elevata popolarità tra i clienti;
  • Marginal I - piatti dall’elevata popolarità ma dal food cost percentuale elevato;
  • Marginal II – piatti con basso food cost percentuale e una ridotta popolarità;
  • Loser  - piatti poco richiesti e dall’elevato food cost

Considerando preferibile vendere di più le pietanze a basso food cost, il metodo Miller prevede una maggior promozione dei prodotti winners e una minore visibilità dei prodotti loser, quando non la loro totale rimozione dal menu. I prodotti marginal dovrebbero essere migliorati e spinti verso la categoria winner dove, ovviamente, avranno uno spazio più importante nel menu, in modo da essere venduti con più facilità.

Il metodo di Kasavana e Smith

Nel 1982 Michael Kasavana e Donald Smith propongono un secondo metodo di analisi che, mantenendo la logica di Miller, utilizza come parametro il margine di contribuzione (ottenuto cioè dividendo il margine di contribuzione totale per il numero di consumazioni totali) dei piatti al posto del food cost percentuale. Vengono così individuate quattro nuove categorie di prodotti:

  • Plowhorses – piatti con alta popolarità, ma basso margine di contribuzione;
  • Stars - piatti con alta popolarità e alto margine di contribuzione, fornitori quindi di ottimi risultati economici;
  • Dogs – piatti a basso margine di contribuzione ma anche a basso volume di vendita;
  • Puzzles - piatti-incognita in quanto con buoni margini di contribuzione ma non particolarmente apprezzati dalla clientela.

Ovviamente in tale modello è l’acquisto dei prodotti stars a dover essere incentivato, al contrario dei prodotti dogs che sarebbe preferibile eliminare dal menu data la loro scarsa contribuzione alla formazione del reddito. I piatti plowhorses e puzzles possono essere migliorati o maggiormente incentivati.

Il metodo di Pavesic

Un terzo approccio all’analisi del menu è quello elaborato da David Pavesic, che utilizza come variabili sia il food cost percentuale sia il margine di contribuzione ponderato per il totale delle vendite (ottenuto dividendo il margine di contribuzione totale per le voci di prodotto presenti in menu), ma tenendo in considerazione anche la popolarità delle pietanze. Il nuovo metodo determina ancora una volta quattro diverse categorie di prodotto:

  • Problems – piatti a elevato food cost e a basso margine di contribuzione;
  • Standard - prodotti dall’alto food cost e, allo stesso tempo, dall’elevato margine di contribuzione;
  • Sleepers - piatti a basso costo delle materie e a basso margine di contribuzione;
  • Prime - prodotti dall’elevato margine di contribuzione e dal basso food cost.

I prodotti Prime rappresentano, ovviamente, i migliori prodotti dell’azienda, sui quali conseguentemente deve incentivare le vendite, mentre i prodotti Problems, come indica il nome stesso, rappresentano problematicità per l’azienda per cui una loro rimozione dal menu risulta opportuna.

Sarà fondamentale per il ristorante inserire i piatti con un ordine logico legato agli interessi di vendita e cercare di orientare la scelta del cliente in base alle pietanze maggiormente profittevoli.

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Contenuto realizzato in collaborazione con la società di consulenza alberghiera Teamwork, partner di Hospitality Academy.